martedì 29 dicembre 2009

Scendere dall'Orientale o scendere con l'Orientale

Alcuni segni.
Potremmo scendere,
un giorno,
dopo abbondanti piogge,
da questi piloni antichi
all'area di Cilenti a mezza costa.

Mi smotta sotto i piedi vetusta argilla,
scivolo dalla rupe come anguilla.
I vecchi si tengono alla ringhiera
ci rimangono appesi
fino all'arrivo dei vigili verso sera

gradirei andare al mare non per via diretta
al massimo a pescare
con la mia vespetta.

martedì 15 dicembre 2009

La memoria corta

Parlano i nuovi, parlano i vecchi.
La memoria è corta.
Si passa per i vicoli, distratti,
gente che si muove, recita, suona, dipinge.
Nulla importa.
Nulla la retina, il timpano, impressiona.
Così come l'acqua dello scarico, tutto scompare nella tazza dell'oblìo.
Rimangono scolpite negli animi solo le scoregge dei mediocri.
Nello scherno, si osannano i cretini, si glorificano gli stupidi.
Ogni volta, in eterno ciclo, come un Sisifo di riviera, si torna a pensare, a fare,
cancellando storie, demolendo labili costruzioni del genio,
spazzando i magazzini degli sforzi giovanili.
Il paese è la tela di Penelope, è la scusa per mai finire quel che si è iniziato.
Ma Ulisse non approderà su queste rive.
Inutile guardare il mare per avvistarlo,
meglio guardare il mare e basta.
Queste acque hanno memoria.
Almeno loro.


martedì 29 settembre 2009

Il fantasma ancor s'aggira


Tutta mia la città,
un deserto che conosco,
tutta mia la città,
questa notte un uomo piangerà...

Il fantasma di Mastro renato ancor s'aggira tra i vicoli in pena

"Ah potessi ancor schiaffeggiar
il poco solerte netturbino,
quando ero vivo spesso usai la mia nodosa mano
a modo di coppino.
Ora il cataplasma mio s'affanna come al nuoto
a rotear le aeree mani al vuoto,
delegai dei controllor più mosci de'cojoni,
presi per il culo in tutte le stagioni
aumentano consiglieri,
ma le strade son sporche oggi più di ieri
la colpa non fu mia ma anche
del popolo ortonese
che di buttar roba per terra
mai s'arrese.
Merde, carte, cicche e tozzi di panini
fiaccan la pazienza dei poveri spazzini
Ortona mia a puttane sta andando piano piano
Mi trasferisco tosto
però a Secondigliano

martedì 8 settembre 2009

Andare Affanculo

Muore il mare di settembre. Sotto la mota giallastra, maleodorante di fogne e scarichi dai ruscelli, si muovono i pescecani pronti a divorare la carcassa del Sindaco. Dolente si affaccia all'Orientale, per esalare l'ultimo respiro, mentre le nubi di cianuro si addensano sul suo capo mortale. Eccoli i Soloni della bella politica, portare le chiavi della città nuova, la mitica Sforzinda, il Falansterio, il Familisterio, il sogno di Olivetti. Tutti capaci, ora, di raddrizzare a colpi di monnezza, la città bianca senza i minareti. Ettolitri di merda liquida, si rovesciano sul lastrico di porfido. Tutti contro tutti, ognuno col tappo al culo onde evitare l'introduzio analis. Nel marasma di una estate Babele, senza perchè, senza percome, senza perquando, il sottovuoto spinto si spetaccia sulla facciata del Castello, come un set di Cinecittà. Spettacoli tarocchi, artisti e musicisti farlocchi, si beano di non doversi confrontare in tenzone col resto del mondo, sicuri che, nel loro condominio, sono certo i più bravi. Altrove, oltre le mura della città antica, un altro pianeta vive, muore, si ingegna, crea. Così, questo brodo sotto i miei piedi che taluni chiamano mare, è simile all'indistinta marmaglia che occupa, abusiva, il palco di questa farsa della città marina.

domenica 26 luglio 2009

Scendere al mare con la bici

Scendere al mare dal paese, con la bici, a piedi, con i pattini. Nella calura estiva si apre, dall'Orientale, lentamente, la visione della costa. Sotto il giardino di aranci, oleandri e noci malati, le curve ci portano fino alla Ritorna. Dietro il faro antico, resti della città romana. Da qui, lungo il rettilineo di miraggi al sole, arriviamo alla spiaggia, attracco di invasori arabi. Il mare.




domenica 12 luglio 2009

Il porto delle nebbie

Se ne vanno le due navi da crociera, piene di poliziotti e funzionari del G8. Sono state 10 giorni all'àncora. Li vedevamo questi stranieri, questi italiani nuovi, aggirarsi per le nostre strade. Pensavo a quando, negli anni '70, riempivano le nostre spiagge, anche senza bisogno di un G8. C'erano i campeggi e gli alberghi pieni di tedeschi, francesi, americani. Ho visto questa gente, cercare disperatamente un senso dell'accoglienza in questa città malata. Nulla. Un popolo querulo e lamentoso, si è chiuso a riccio, saltando a piè pari occasioni e opportunità commerciali, tenendo opportunamente chiusi, negozi, tavole calde, paninoteche. Gente avvelenata dalle mollezze dell'inerzia, ha evitato l'idea di organizzare reti di servizi e beni per "sfruttare" moneta che non fosse quella del paese stesso. Altrove, avrei visto anche i giornalai organizzare banchetti per gli hot dog. In questa città smunta, qualcuno ha dovuto pranzare nelle pasticcerie, perchè i cosiddetti commercianti hanno preferito andare al mare. Sento tanti ortonesi che si lagnano perchè l'economia locale langue.


E' la loro testa che langue. Se il G8 non ha smosso questo paesucolo, dubito che una frana completa della collina su cui è posto, non impedirà a questo popolo ovino di continuare a passeggiare indisturbato, masticando amaro sulle glorie degli altri.

mercoledì 10 giugno 2009

L'indovino


Tratto da Tuttoabruzzo.it

Martedì 5 Agosto 2008

In riferimento alla candidatura di Enrico Di Giuseppantonio, per il partito dell’UDC, alla Presidenza della Provincia di Chieti per il rinnovo del consiglio Provinciale in scadenza nel 2009, il Presidente, Sen. Tommaso Coletti dichiara quanto segue:

”Sono felice di lasciare il testimone ad un amministratore competente ed onesto che ha dimostrato di aver saputo fare bene gli interessi della sua comunità, con la certezza che le iniziative poste in essere dalla mia amministrazione possano costituire una traccia fondamentale per il prosieguo dello sviluppo dell’intero territorio provinciale. Con Di Giuseppantonio, continua il Presidente Coletti, e con gli altri sindaci della costa teatina stiamo portando avanti l’importante progetto di valorizzazione e di tutela dell’intera area che va da Francavilla ala Mare a San Salvo, che punta alla realizzazione di un pista ciclabile sul vecchio tracciato ferroviario, così come con gli altri sindaci della Provincia abbiamo posto in essere iniziative infrastrutturali in parte già realizzate ed in parte in via di realizzazione. Tante iniziative che hanno consentito alla Provincia di Chieti di mantenere ed accrescere il primato dello sviluppo economico sulle altre tre province abruzzesi.

E’ naturale, conclude il senatore Coletti, che il passaggio del testimone potrebbe avvenire nei modi e nei tempi da concordare tra i partiti del centro sinistra che guidano attualmente questo importante ente ed il partito di Di Giuseppantonio, vorrà aggregarsi con un programma concordato e condiviso, alla stessa coalizione di centro sinistra nei prossimi appuntamenti elettorali.

Il problema è che, un anno dopo, Di Giuseppantonio ha stravinto, ma con il centro destra...

sabato 6 giugno 2009

Ai signori del castello piace solo fare quello


Giovedì, 4 giugno, dopo anni di abbandono, è stato restituito alla città, il rudere imbellettato del Castello Aragonese. Grazie ai fondi delle vincite non ritirate della lotteria, stornati per il restauro, l'operazione ha potuto avere luogo. Un deputato del nostro collegio, si interessò della cosa. Non era ortonese, non era abruzzese, era un liberale puro, garantista, che faceva il suo mestiere di politico, rappresentando, senza pulsioni feudali, il collegio che lo aveva votato. Questo individuo era Franco Corleone ed aveva messo un ufficio aperto al pubblico nel centro della città. In questo ufficio, tutti i suoi rappresentati potevano andare per verificare il suo operato in parlamento e per sottoporre a lui, questioni riguardanti la città ed il comprensorio. Gli ortonesi, abituati al signore dei signori: Remo Gaspari, dispensatore di favori e non di buona politica, non capirono il gesto profondamente democratico e civile di codesto individuo. Erano abituati a votare il candidato da Roma, che prendeva voti e se ne andava. Oppure erano abituati a votare il candidato che suggeriva loro il prete, il farmacista od il notaio. Così non riuscivano a creder che un uomo venuto da lontano, profondamente apprezzato da giuristi, economisti, uomini di cultura e giornalisti, potesse stare in giro "senza scorta" per Ortona, a parlare con la gente. Corleone è stato dieci anni nel nostro collegio ed ha rappresentato la speranza che le cose avrebbe potuto cambiare. Cambiare non per la città ma per la mentalità degli ortonesi. Ortona ha perso Corleone e con lui un modo nuovo possibile di pensare questo luogo. Il castello, il tribunale, furono iniziative partite da questo personaggio, dalla giacca orrenda e dalla parlata sarda, ma capace di grandi intuizioni e grandi visioni. Il castello oggi, è la pietra tombale di questa amministrazione di centro destra. In sedici anni di governo della città, la normale amministrazione è stata spacciata per nuova Ortona. A parte qualche pavimentazione e risistemazione della Passeggiata Orientale, ottenuta prestando il sedere al centro Commerciale, che ha svenato il contesto economico della città, il paese è stato gettato in pasto ai cementificatori, i quali hanno irrimediabilmente deviato le prospettive per il futuro. Non c'è lavoro, non c'è qualità del tessuto urbano, non c'è manutenzione, l'industria e l'artigianato sono evaporate. La città si regge esclusivamenbte su alcuni grossi correntisti che movimentano interessi da una banca all'altra ( sette istituti di credito solo nel centro!), da una speculazione immobiliare all'altra. Il porto è bloccato da una oligarchia che farebbe impallidire Achille Lauro, gestita da "manager" che a malapena riescono a prendere appunti col mozzicone di matita sul blocco. Mafie senza crimini, senza estetica del delitto, che demandano ai loro "notabili" eletti in Comune, la gestione dei Kazzi propri. Professionisti che mandano a troie la loro deontologia , solo per aver qualche soldo in più per le vacanze alle Maldive. Alla fine della dura settimana, tutti a pentirsi in Basilica, dove l'Apostolo Tommaso tutto perdona a tutti. Anche Aglieri, pluriomicida e boss della mafia, leggeva Sant'Agostino ed Occam. Così, il Castello è l'emblema della rovina, è la faccia vera di Ortona, un fondale da palcoscenico, dove dietro c'è il nulla. Ortona fu distrutta durante la guerra e questo avrebbe potuto rappresentare la sua fortuna. Sarei pronto a sacrificare me stesso, perchè, sotto un bombardamento, la città venisse rasa al suolo, per un nuovo inizio. E pensare che da bambino, in estate, a sera, ancora in spiaggia, mi volgevo verso il paese in alto sul promontorio, come un sogno che avrei voluto infinito...

giovedì 21 maggio 2009

Il Tempo dei Favolli


Esco la sera ben attrezzato. Nello zaino le torce , la martafella , i guanti, i ganci, una bottiglia di acqua. Tra gli scogli, un leggero sciacquare di onde, mentre lenti escono i pescherecci per la battuta notturna. I rumori dei capannoni e dei generatori sulla banchina rompono l'acuqa silente. Torcia nella bocca, mi chino vicino gli anfratti noti, dove il favollo, di lato, si apposta, tra il pelo dell'acqua e lo scogli. Una zampa più chiara, ma il granchio mi ha visto. Lo accerchio nella microbattaglia, ma il decapode indietreggia. Allungo il gancio, lo stuzzico dietro il carapace. Il favollo si gira verso il nuovo nemico, mi offre le terga, esce allo scoperto. La mia mano guantata lo copre, gli stringe le chele. Lo alzo, lo giro sul ventre, è una femmina. Porta le uova. La ributto. Aspetto che passi l'amore tra gli scogli di questa primavera bollente. Forse alla prossima luna calante...

domenica 3 maggio 2009

La Costituzione Ortonese

(Ripari di Giobbe - Spiaggia Privata)


Articolo 1 - "Ortona è una cittadina fondata sul tufo e come tale deve essere governata da individui dal cervello della stessa materia".

Articolo 2 - "E' un dovere dei cittadini ortonesi appoggiare e sostenere il successo e l'arricchimento personale degli amministratori"

Articolo 3 - "E' un dovere degli ortonesi essere arroganti con i deboli e servili con i prepotenti"

Articolo 4 - "La facciata è imperativo, la sostanza ostativo"

Articolo 5 - " Il tempo cancella la memoria, lava i curriculum delle famiglie"

Articolo 6 - "Ad Ortona è lecito fare sesso con chiunque, è illecito sposarsi tra individui che non siano dello stesso rango sociale".

Articolo 7 - "Ad Ortona è vietata la libera impresa, è lecito e lodevole il conflitto di interessi".

Articolo 8 - "Ad Ortona è degno di ostracismo chiunque la pensi diversamente dagli altri".

Articolo 9 -" Ad Ortona il sonno della ragione...fa comodo ai mostri".


Tratto da " Il codice dei ortonesi prescelti da Dio"

per approfondimenti
http://maurovanni.blogspot.com/2009/05/corriamo-ai-ripari.html

venerdì 1 maggio 2009

Perdono 2009


Spett.le San Tommaso,
quest'anno ti è andata di merda.
Non ti aspettare grandi cose.
Lo so, eri abituato bene,
d'altra parte molto
avevi fatto per questo paese.
Ti ricordi le palle di cannone trasformate in arance, oppure tutti quei zijani
che venivano
alla tua festa e spendevano
molti soldi in città?
Stavolta i cittadini tuoi protetti
hanno fatto quello che molte persone
a L'Aquila hanno tentato di fare: gli sciacalli.
Con la scusa del terremoto, hanno passato per sobrietà
e parsimonia il fatto che nelle casse comunali non ci fossero soldi.
Così hanno usato gli altri concittadini per riempire i cartelloni.
Quei concittadini che suonano, cantano, recitano e che di solito,
quando ci sono i denari, non vengono mai chiamati a partecipare.
San Tommaso utilizzano il tuo nome per coprire le mancanze nei confronti degli Ortonesi. Hanno governato la città come governerebbero la manovella del videopoker, hanno mandato all'acqua delle kozze lavoro, commercio, urbanistica, cultura e forse anche la figa. Li hai visti arrivare trafelati in Chiesa da te, il Sabato sera o la domenica mattina, a sciacquarsi le mani nell'acquasantiera. Si sono riempiti la bocca con il tuo nome e con la tua faccia hanno confezionato simpatici manifesti. Ti hanno fatto a pezzi e utilizzato a tranci come un pesce, buono per ogni cottura ed ogni occasione. Detto questo, quando ti esporranno per l'Orientale, a preveder la buona o cattiva annata, dal colore del busto, ti prego manda un'onda anomala gigantesca e trascinali in alto mare, affinchè possano levarsi dalle palle.
Solo così potrai salvare Ortona dal disastro.
Ti ringrazio San Tommaso

lunedì 20 aprile 2009

Alacre


Poffare me ne accorsi! Era tempo che la crepa crepava assai.
Nugoli di pargoli, frugoli, sotto la vetusta trave lì lì per il nefando crollo, kazzo...che terrazzo.
Si infiltra l'acqua meteorica, di pioggie al fregavento, senza il riscaldamento cadono i calcinacci...
dai, dai con quegli stracci oh bidella! Asciuga la cartella, del povero bambino...
Le mandrie di ingegneri, alacri più di ieri, quando firmavano progetti a scatola chiusa,
d'altra parte in tutto Abruzzo è pratica adusa, abusa, confusa, non refusa,
se la pecunia mi accrediti alla banca, la mano non si stanca
di timbrare le pratiche noiose...
Dottò!Andiamo a veder in cantiere il carpentiere che fa il suo mestiere?
Ma fammi piacere! Rimango qui a sedere, tanto tutto si regge a dovere, c'ho la laurea da ingegnere, ogni forza della natura è in mio potere.
Ora i sindaci dalle notti insonni, fanno controlli, le prove, cautelano le chiappe, rivestono sederi, affinchè le prove penetrometriche ai loro deretani non fatte siano...
Architetto, ha visto quel tetto? Pende , pende assai! Ma che sarà mai! E' una scelta voluta, come una facciata barocca fronzoluta. Dica c'è cemento nel pilastro?
Potrebbe accader un disastro!
Tanto non si vede, a fargli una pittura si fa la bella figura, ogni autunno,
gli diamo una leccata, facciamo ai genitori cosa grata.
Ma cosa accade un terremoto!!
Fammi grattar lo scroto, anche se mi pare vuoto!
Ed ora che facciamo?
Le aule son pesanti ed i bambini tanti...
Chiudiamo questa scuola, si faccia lezione sulla antistante aiuola,
tanto i figli miei studiano al collegio dalle suore, che là nessuno muore!
Se non fosse stato per la scossa, non avrei fatto una mossa.
I figli sono degli altri, se schiattano sotto un solaio, io di certo non passo un guaio.
Basta dare la colpa a qualche tecnico vetusto, di quelli di una volta,
un tecnico defunto, responsabile presunto.
Se invece nulla avrà a crollare,
io tirerò a campare.

martedì 14 aprile 2009

'de


Paese de' kazze!

Neanche un terremoto
a darci una
nuova speranza.

lunedì 6 aprile 2009

L'Aquila


Gianluca Di Renzo
L'Aquila
26 Agosto 1968

Era la mia città.

giovedì 2 aprile 2009

Quello che non è


Non è.
Non è mai stato nulla di quello che è successo. Sotto i colpi dell'indifferenza cittadina, si muovono i nostri amministratori, nel turbinio dei kazzi loro. E' un intrallazzare di affari, affarucci, accomodamenti, volemose bene, poi vediamo e tutta l'enciclopedia da "Le mani sulla città". I primi cittadini di solito, cercano di separare gli affari di casa propria con quelli della case altrui. Ad Ortona, il motto imperante è " E' un dovere degli Ortonesi appoggiare e sostenere il nostro successo". Questa marmaglia di mediocri, si vende come salvifica stirpe, sui banchi del pesce al mercato. Si negano evidenze, si deride sull'ufficialità di documenti pubblici, si rimandano decisioni vitali per il popolo. La cosa più grave è che il popolo è intossicato dal nostro nuovo duce morbido e dalle sue labbra aspetta parole d'amore e di pecunia per tutti. Le nuove mode sono queste: dagli al comunista, dagli al pessimista, dagli a chi ha una opinione deviante dalla massa ovina. Nella miseria di cellulari che squillano, simonaventurizzati da vacanze altrui ed amorazzi con veline che giammai avremo, per istinto di conservazione, non distinguiamo più la realtà e pensiamo che tutto sommato, la crisi della città, morale, economica, politica, si possa accomunare, come si fa con l'indifferenziato, alla crisi mondiale. Non è così. Ortona ha anticipato i tempi, Ortona rimarrà fuori dai tempi. Correte a guardare il mare. Ne avrete ancora per poco.

domenica 22 marzo 2009

Il mare cambia


Il mare cambia. Attraverso le nuvole, il vento che taglia da nord, sporca l'acqua di traverso, contro gli scogli, le boe, i baveri delle giacche, le orecchie, le sciarpe delle signore, strette intorno alla testa. Il mare tira le bottiglie sulla spiaggia, ai gabbiani fermi all'attacco del torrente. Acqua dolce si sforza di entrare nel largo salato. Campane di corde contro gli alberi delle barche, suonano le raffiche d'aria. C'è il nuovo sole che aspetta una bella stagione. Presto.

giovedì 19 marzo 2009

Lu Trianguline di San Giuseppe


Ci andavamo spesso. Dopo la scuola, verso le tre, quando non c’erano tanti compiti. Attraverso le ringhiere allargate da una mano desiderosa di entrare, passavamo nel campetto della scuola Elementare a San Giuseppe, a giocare a “Trianguline”. Lu Trianguline era l’incrocio delle sbarre della base del cesto da basket. Senza portiere, due squadre da tre, quattro o cinque giocatori ciascuna, si affrontavano a calcetto, contribuendo alla sua invenzione e diffusione. Verso l’ora della merenda, riuscivamo a dissetarci presso il lavabo di un garage vicino. Lo sentivi che erano le cinque, dall’odore della vicina pizzeria “il Quadrifoglio”. Sul cemento di quel campetto, poco utilizzato per il basket, sono state consumate ginocchia, scarpe, sederi, stinchi e palloni, quintali di palloni. I palloni più quotati erano certamente gli “Yashin” bianchi, pesanti con un pallone di cuoio, allora oggetto molto ambito dai ragazzini e gli Yashin marroni, leggermente più grandi, ma che tendevano a deformarsi. C’erano anche i “Super Santos”, più ricercati per giocare in spiaggia, perché manovrabili a piedi nudi e dal buon rapporto pesantezza durezza. I più sfigati avevano il Tele, che aveva un grosso problema: era leggerissimo e bastava un po’ di vento per renderlo ingovernabile. Dopo “Argentina ‘78” arrivarono i fighetti con il “Tango” in cuoio, oppure in plastica, ma lo Yashin rimaneva imbattibile. Tra i giocatori stava cadendo la moda delle magliette delle squadre, ma io riuscivo a sfoggiare tra i Terùn, una chicca portata da Milano: la maglietta del numero 10 dell’Aiax e cioè Neskens. Non capisco perché mi piacesse, ma quella maglietta arancione, con due striscette nere sulle braccia, faceva un sacco figo. Non ho mai saputo giocare a pallone, ma non giocare per niente era un’onta troppo grande da essere affrontata. Amavo il rugby, da buon aquilano, ed una volta provai a portare il mio pallone ovale, tentando di dare nozioni di base sul gioco più bello del mondo (per me). Finì in una rissa per il semplice motivo che la furbizia e la malizia del calcio vennero applicate dai miei compagni, ad uno sport che invece pretendeva, lealtà, onestà, confronto aperto con l’avversario e spirito di squadra. Quel passaggio mi fece capire molte cose della vita futura. Il rugby impone lo scoperchia mento della propria anima. E’ la stessa cosa dell’andare in montagna. Nelle situazioni di necessità si scoprono i difetti e le virtù. Io non sono mai stato furbo, perché ho sempre considerato la furbizia , un piccolo passo verso la disonestà. Lu Trianguline è stata una sorta di recita della vita per noi che saremmo diventati grandi.

sabato 14 marzo 2009

Gli asparagi


Quando gli umidi delle piogge marzoline, inzuppano le macchie che volgono al mare, tra le rupi scoscese di tufo, il primo sole caldo dell'alba, innaffia con i suoi raggi le "sparuanne". Dai mucchietti di terra alla base dei puntuti cespugli, emergono le dolci estremità dei nuovi frutti della terra: gli asparagi selvatici. Silenziosi, curiosi, senza il timore delle spine, ci inoltriamo tra le fronde fresche e bagnate alla ricerca delle sorprese dei cespugli. La leggera brezza di mare muove le lunghe foglie del canneto fino alle onde sugli scogli. Senza volerlo, passano i minuti tra i rovi, mentre si allungano le ombre del pomeriggio. Vicino le siepi d'alloro, ci fermiamo ad osservare una ordinata fila di giovani cipressi, indisturbata, senza i cimiteri. Sullo slargo, un tempo poligono di tiro, gli speroni dell'Acquabella a celare la costa di San Vito. Portiamo un bel fascio di asparagi tra le mani. Non è il valore del frutto, ma l'esperienza della sua ricerca a spingere e rinnovare questi ozii. L'asparago selvatico è deciso nel sapore, amaro, sincero, senza indecisioni. Così su questo affaccio, anni addietro, truppe ordinate di soldati, si avvicinarono ad Ortona, per spargere il loro sangue sulle strade. Ora, alla mia destra, una lunga teoria di lapidi bianche, zittisce i rumori della strada vicina e mi protegge affinchè possa godere delle visioni all'orizzonte..

lunedì 9 marzo 2009

domenica 1 marzo 2009

Beniamino


Questo è un testo, che mi è stato gentilmente fornito dal dott. Grilli. Il testo è di Beniamino De Ritis, il nostro concittadino non onorato. Se avessi avuto persone del genere nella nostra città a prendere decisioni ed amministrare, oggi avremmo una fortuna incredibile...

mercoledì 25 febbraio 2009

Il nulla sostanzioso



Anche questa settimana non è successo nulla.
Ortona rimane, senza esitazioni.
Allora ti rivolgi alle cose che cambiano.
Basta andare al mare, mettersi all'incrocio tra la spiaggia e la battigia, in direzione del sud, puntando alla costa che porta fino a Vasto.
E' un punto preciso, definito solo da chi quel punto lo ha visto ripetutamente negli anni,
nelle stagioni.
Da lì si coglie il piccolo allungarsi delle giornate, l'umore del mare, la limpidezza dell'aria. E' il punto per veder la morte od il nascere del giorno. Ti rendi conto, allora, che qualcosa cambia in effetti. Non è quello che avresti sperato, ma è molto meglio...

giovedì 19 febbraio 2009

La "neve" di Ortona


La neve ad Ortona.Non se ne vedeva così da anni. Nei vicoli, nelle piazze, davanti alle vetrine dei locali, tutti stanno lì, ad amare la "neve". Anni fà li vedevi, il venerdì sera, a girare in cerca di qualcosa da fare, tutti ad aspettare questa neve, bianca, impalpabile, pura, per tuffarcisi dentro, in una sorta di euforia collettiva. Ora, finalmente. Per tutti, per tutte le età. Venerdì, sabato, domenica, nevica sempre e dovunque. Gli occhi spalancati, il perenne raffreddore,i movimenti affannosi,butterosi quindicenni, tardoni quarantenni, ti guardano con l'aria di chi ha capito che la vita si affronta meglio, se nevica. E' uno schermo la neve, che nasconde quello che non piace, quello che non si vuole. Ma la mattina dopo, quando la neve è terminata, c'è la tristezza del vuoto dentro ognuno di loro. La paura di vivere un'altra giornata...di sole.

lunedì 16 febbraio 2009

Domenica umida


Mi affaccio di nuovo, nessuno.
Aspettare, aspettare.

Tornare.
Troppo freddo, troppo umido

Due vecchi.

Nel giardino
tra le ombre
acqua su acqua ascolto.

Domenica umida
nelle ossa, dietro il collo
al vuoto dedico lo sguardo
Risalgo
sotto il nevischio
dai lampioni
di vetro giallo
colla.
Sarà lunedì,
come al solito.

sabato 14 febbraio 2009

La sedia di Cascella


Sono passato anche questa domenica. Arrivo alla curva, insieme alle bambine. Sono sempre un po' restie a scendere per la scorciatoia. Ma l'abitudine a queste strada scoscesa , scavata nel tufo del promontorio, che scende veloce fino alla Statale, sui ruderi dell'antica fornace, è qualcosa che ho, fin da quando, con mio nonno, tornato dall'Aquila per le vacanze, scendevamo ai Saraceni per evitare l'utilizzo della corriera. Nonno aveva passato , a quei tempi, i sessanta, ma era dotato di un vigore giovanile unito ad un querulo atteggiamento pre anziano, disgustato dalle mode giovanili. Mi accomunava a quella marmaglia di flaccidi adolescenti, giammai temprati dalla guerra e dalle povertà in genere, auspicando, lui comunista per adozione, in quanto statale, un ritorno a rigidi sistemi di stampo fascista. A quei tempi il ripido crinale non aveva subito gli smottamenti che ne hanno mutato l'orografia. La scorciatoia era lunga. Durante un periodo di forte piovosità, negli anni '80, il crinale era andato giù come un mucchio di farina. Salivamo a mezzogiorno, per il pranzo, tra le querce ed i papiri bassi, scostando le foglie e le mosche, tra il rumore assordante delle cicale, che faceva da scudo al rombo delle macchine sotto la strada. Era affanno, caldo, con i sandali insabbiati e la fame che solo un ragazzino in vacanza può avere. Nel pomeriggio stessa solfa, stesso percorso ed io spesso rimpiangevo quelle frescure da serranda abbassata della mia cameretta, dove avrei preferito passare il tempo, giocando con i soldatini. Ma su quella curva, a volte, trovavamo un anziano, con una sediolina, un cavalletto ed una tavolozza. Aveva la pipa in bocca e passava il tempo a dipingere su quell'affaccio poco pudico, la schiena alla strada vicina, indifeso alle curiosità altrui. Lui non se ne curava e trovava sotto quell'enorme pino ombrellone, una posizione ideale per realizzare i suoi quadri. Nonno gli passava accanto, incitandomi ad affrettare il passo, quasi il pittore fosse d'intralcio. Nonno non amava quelle perdite di tempo. Aveva qualche quadro a casa, di quelli che vendono ai mercatini, ma in lui il concetto di artista o arte era relegato al dopolavoro ferroviario. Non lo faceva con cattiveria, non avrebbe potuto. Io pensavo a quell'uomo, leggermente curvo sulla sedia, che riusciva a concentrarsi sempre sullo stesso paesaggio. era come se fissasse un punto non precisato dell'orizzonte. Come una scusa per stare lì, impalato, mentre piccole e regolari pennellate, coprivano la sua tela. Quell'uomo era Michele Cascella, uno dei pittori più quotati del dopoguerra italiano. Era ortonese ma non abitava più ad Ortona da anni. Forse era diventato famoso per questo. Non c'è più Cascella, non c'è più mio nonno. Ci sono io a scendere con le mie bambine, a fissare lo stesso punto non precisato dell'orizzonte, a cercare qualcosa...

mercoledì 11 febbraio 2009

Beniamino, Ortonese senza Ortona


Beniamino, sei stato lontano, ma che sei andato a fare? Da queste parti ti abbiamo dimenticato in fretta. Qualcuno ha detto che scrivi, ma in edicola non trovo nulla con il tuo nome sotto. Lo so, pensi sempre all'Orientale, all'arietta fresca della sera estiva... potevi rimanere, avresti fatto il notaio o l'impiegato al comune. Così ti avremmo preso in giro tra colleghi, figuriamoci: un Ortonese che scrive, ma che devi fare? Ma lo vedi che ridiamo tutti di quella tua mania di prendere la penna, di meravigliarti per le cose, di incuriosirti. Lascia stare, vatti a fare un bagno sotto ai Saraceni. Questo è il paese dei mediocri e chi non si adatta è scemo, è strano, è da evitare. Lontano da Ortona, dall'Italia, non ti si vede, fai quello che ti pare. Dicono che insegni all'Università, in America, che sei andato in Spagna a scrivere di Don Chisciotte. Guarda che qua, i mulini a vento sono troppi, altro che la fine di Don Chisciotte faresti! Dacci retta, stattene dove stai, che da queste parti un Ortonese che ha fatto fortuna all'estero è gradito solo quando viene in vacanza. Quando vuole ritornare per sempre ed incomincia fare il filosofo, perchè ha visto e sentito quello che c'è fuori da queste mura, rompe solo i coglioni. Non ti aspettare la gloria., la cittadinanza onoraria. Quanto sarai morto, ti intitoleranno al massimo la via che porta sotto qualche fosso, al canile...

domenica 8 febbraio 2009

La considerazione degli altri


Abbiamo un difetto. Pensiamo sempre che gli altri, quelli che abitano al di fuori del nostro paese, ragionino con la nostra testa. Per noi, Ortona, dovrebbe essere il centro del mondo, il centro delle attenzioni, un luogo dove molte cose avvengono e dove queste vengono conosciute anche da chi abita centinaia di chilometri lontano. Ortona un luogo la cui storia è nota a tutti, tanto che ci scandalizziamo quando, parliamo con dei forestieri e questi conoscono a malapena Pescara. Questa immagine è quella di una guida turistica autorevole che parla di Ortona. Al nostro paese viene dedicato, quasi lo stesso numero di righe che ad Orsogna, con la differenza che di Orsogna c'è una fotografia di un particolare architettonico. Ora, se valutiamo la considerazione dell'importanza che noi abbiamo di Orsogna e la comparazione che uno straniero fà delle nostre due città, leggendo la guida, il risultato è sconfortante per la considerazione che invece noi abbiamo di Ortona. Se riuscissimo a collocare adeguatamente nella nostra testa il valore effettivo della nostra cittadina, senza la mediazione dei sentimenti personali, potremmo avere un salutare ridimensionamento delle nostre aspettative e questo potrebbe essere un buon metodo per cominciare a ricostruire un'identità ortonese.
Buona Domenica

giovedì 5 febbraio 2009

Niente di nuovo sul fronte Orientale


Dalla veduta, si scende, passo lento, mani nelle tasche, fino alla rosa dei venti sul pavimento, dove una volta scendeva la funiculère, diretta alle spiagge d alla stazione. Ma la sera è fredda e le luci dei pescherecci lentamante sfilano verso gli attracchi. Chi non sopporta la vista del giorno che ci abbandona, riesce a superare la notte, per arrivare all'alba. Ad oriente, sempre sull'affaccio umido e brinoso, esplode il sole a tagliare il mare, di grigio ghiaccio, incorniciato tra i moli. Sono braccia che accolgono le onde, spesso dirette e tese all'imboccatura. Nitidi si scorgono sui camminamenti a mare, i passeggiatori lontani, ansiosi di raccogliere i primi respiri del giorno. Questa è Ortona, un frutto malefico che ti ammalia. Alzi il pugno ad anatema sulle nubi stirate di giallo, ma il gesto è inane. Subito il calore del sole, scioglie le spalle e ti senti raccolto fino alla curva presso la torre del castello, dove il vento ti sorprende e schiaffeggia a ricordarti che è ora di andare: c'è tanto da vivere. Anche oggi

martedì 3 febbraio 2009

San Biagio

San Biagio Il Santo protettore della gola


lu grazzijone
a protezione degl
i stragajjune




Sande Bbièesce tenè nove fratielle.
Da nove ha 'rmaste a òtte:
da òtte ha 'rmaste a ssette:
da sette ha 'rmaste a ssiè:
da siè ha 'rmaste a cinghe:
da cinghe ha 'rmaste a quattre:
da quattre ha 'rmaste a ttre:
da tre ha 'rmaste a ddù:
da ddù ha 'rmaste a une.
Sande Bbièsce, squajje ste gaiiune!
J' te segne + e Ddijje t'arsène



Nen parlè... ca tiè 'nnènze sande Bbièsce!

domenica 1 febbraio 2009



La scusa migliore per coprire il fatto che una città vada all‘acqua dei granchi, è quella di affermare che non è colpa di chi la amministra ma della “crisi internazionale che è più grande di noi”! C’è una piccola verità in questo, ma c’è anche una grande menzogna. Quindici anni di questa amministrazione si prospettano all’orizzonte. Quindici anni nei quali l’amministratore intelligente, lungimirante , sagace, è in grado di progettare i futuri assetti socio - economici del paese in cui vive e nel quale ha deciso di investire le sue energie. L’amministratore capace, intelligente, sa benissimo che una scelta buona per la comunità porterà dei benefici anche a se stesso, perché egli è cittadino assieme ai cittadini. L’amministratore capace non solo crea le opportunità perché il contesto economico si sviluppi, grazie ad un consolidamento delle strutture produttive, ma crea anche i presupposti secondo i quali, l’accresciuto benessere degli altri, porti lavoro e vantaggi anche a se stesso. L’amministratore fa tutto questo se ha l’idea, l’idea di città che desidera per sé e per gli altri. L’idea si forma solo ed esclusivamente attraverso l’ascolto degli altri, le esperienze degli altri e la cultura, sì la cultura del territorio, l’amore della curiosità, il desiderio del cambiamento, la sensibilità per ciò che siamo, ciò vorremmo essere. Tutto questo crea le idee. Senza idee, un amministratore è solo un contabile degli eventi. Ma l’amministratore lavora bene se gli amministrati partecipano di queste idee. Se l’amministratore persegue l’interesse personale, il profitto a discapito degli altri, crea degli amministrati simili, crea dei microcosmi, dei micro comuni, nei quali ognuno è padrone di se stesso e pensa solo a ciò che lo riguarda. L’amministratore che legalizza la sua ingordigia è l’emblema di chi non sa fare altro, per un semplice motivo: non ha idee. Ortona è stata ed è amministrata da quindici anni in questo modo. Si stima che molti di coloro i quali ci amministrano, non conoscano che il 5% delle regole di funzionamento della macchina amministrativa. Si calcola che solo il 10 % di loro compili una scheda elettorale senza il timore che essa venga annullata durante lo scrutinio. Come possiamo delegare i nostri destini, i nostri futuri e quelli dei nostri figli ad individui mediocri che hanno spacciato una meno che mediocre ordinaria amministrazione per cambiamento radicale di una città. Come possiamo pensare che questi amministratori, totalmente incapaci di tenere saldo un tessuto produttivo che si va sgretolando giornalmente, possano garantirci giorni migliori, quando non sono stati all’altezza della situazione in momenti non sospetti. Abbiamo spacciato grandi serbatoi clientelari come il centro commerciale, per occasione di rinascita della città, quando è nella natura di queste imprese, creare emorragie di denaro locale in favore di multinazionali. Cosa abbiamo avuto in cambio? Un pessimo maquillage dell’Orientale. Solo grazie ad un onorevole, alla cui continua e strana (per gli ortonesi) presenza non si era abituati, il rudere del Castello Aragonese e la Pretura hanno avuto nuova vita. Ci si è calati le braghe davanti ad un costruttore ed a un non-cinema, ci si cala le braghe davanti ad un altro costruttore che tiene aperti cantieri in centro per il tempo che gli pare. Le manutenzioni comunali sono ai minimi storici, da tempo ricompaiono le pantegane, che non si vedevano dagli anni ‘70, la città sembra avere un patina su di sé che si nota, girando ed osservando le strade , i vicoli, le case, le aiuole. Ma la città siamo anche noi, corresponsabili di questo imbarbarimento, di questo non amore per il luogo in cui viviamo. La risposta è una sola: non siamo una comunità, non lo siamo mai stati. La battaglia di Ortona ha distrutto non solo gli edifici, ma anche il senso di appartenenza, di sentire corale. Siamo un Comune che non ha nulla in comune. E’ naturale quindi, essere amministrati da persone alle quali della comunità non frega assolutamente nulla. Nascono così i piani regolatori ad personam, dove gli amministratori si disegnano zone di sviluppo e poi si costituiscono società immobiliari per costruirci sopra. Negli Stati Uniti questi amministratori verrebbero arrestati in pigiama per insider trading. Ad Ortona, riescono addirittura ad essere riveriti in chiesa, solamente perché si sciacquano le mani nell’acqua santa. Ad Ortona, grandi elettori riescono a spillare energie comunali, inquinando torrenti. Ad Ortona individui dotati di Lauree in Medicina, riescono a discutere di urbanistica e laureati in Legge diventano improvvisamente esperti di musica classica, teatro, pittura, poesia e filologia romanza. Ad Ortona, individui che in altri paesi non vincerebbero neanche a briscola nel bar del dopolavoro, fanno i vicesindaci, discutono di alta politica decidono il mio ed il vostro futuro. Ad Ortona, dove si con chi ci pare, ma ci si sposa solo tra persone delle stesse famiglie di affari, si entra in società miste pubblico - privato, dove i cugini stanno in comune e gli zii stanno in ufficio a scambiarsi le cariche, i gettoni di presenza, i bonus. Ad Ortona, il Consiglio comunale è diventato meno importante di un aperitivo al bar o di un quarto di finale di coppa Italia. Ad Ortona, noi siamo i maggiori colpevoli, perché abbiamo preso con leggerezza il voto, usando un’ arma così importante per delegare le nostre vite ad una tribù di individui socialmente pericolosi. Ortona sta morendo nella decisione di non decidere. Non si decide sul centro oli, perché si è favorevoli ma anche contrari, aspettando che qualche “nome” da Roma dica che posizione prendere e soprattutto perché si ha paura di perdere voti. Negli ultimi quindici anni siamo sopravvissuti ad una amministrazione scellerata, perché ha prodotto il nulla assoluto, il sottovuoto perpetuo e ci ha fatto credere che fosse la migliore opzione. Con questa convinzione andremo a votare alle prossime comunali e siamo sicuri che il vuoto vincerà di nuovo, perché le idee fanno paura.

venerdì 30 gennaio 2009

Dovunque ti rigiri, sale



Tèmbe di mmerde. Andò t'arvuote sajje.


Tèmbe di mmerde. Andò t'arvuote sajje.


e lèvite e arevonde, tutt mmèrde


che scrizze, ti z'appicciche, z'imbaste.


Liquite e sciuvilogne gni la vrode,


o grasse gni la lote, sièmbre mmèrde,


pècule che ti tègne e che t'imbracche.


e ttu nen ge l'appuò! T'endr'a la frosce


e n'n-ziènde cchjù la puzze: t'aritrove


la vije de le recchie e te l'atture:


e t'arimore l'uocchje, e appène pjerle


ti z'ahaveze attorne e ti zuffoche.


'Mbraffilijète, tutte sotte-'m-bracce


dèndr'a 'stu cacatore, tutt'inzième


a ggustarze sta crème, tutt'eguèle


a velegnarce 'm mèzze, ji' pure mmèrde





Alessandro Dommarco, poeta Ortonese