mercoledì 25 febbraio 2009

Il nulla sostanzioso



Anche questa settimana non è successo nulla.
Ortona rimane, senza esitazioni.
Allora ti rivolgi alle cose che cambiano.
Basta andare al mare, mettersi all'incrocio tra la spiaggia e la battigia, in direzione del sud, puntando alla costa che porta fino a Vasto.
E' un punto preciso, definito solo da chi quel punto lo ha visto ripetutamente negli anni,
nelle stagioni.
Da lì si coglie il piccolo allungarsi delle giornate, l'umore del mare, la limpidezza dell'aria. E' il punto per veder la morte od il nascere del giorno. Ti rendi conto, allora, che qualcosa cambia in effetti. Non è quello che avresti sperato, ma è molto meglio...

giovedì 19 febbraio 2009

La "neve" di Ortona


La neve ad Ortona.Non se ne vedeva così da anni. Nei vicoli, nelle piazze, davanti alle vetrine dei locali, tutti stanno lì, ad amare la "neve". Anni fà li vedevi, il venerdì sera, a girare in cerca di qualcosa da fare, tutti ad aspettare questa neve, bianca, impalpabile, pura, per tuffarcisi dentro, in una sorta di euforia collettiva. Ora, finalmente. Per tutti, per tutte le età. Venerdì, sabato, domenica, nevica sempre e dovunque. Gli occhi spalancati, il perenne raffreddore,i movimenti affannosi,butterosi quindicenni, tardoni quarantenni, ti guardano con l'aria di chi ha capito che la vita si affronta meglio, se nevica. E' uno schermo la neve, che nasconde quello che non piace, quello che non si vuole. Ma la mattina dopo, quando la neve è terminata, c'è la tristezza del vuoto dentro ognuno di loro. La paura di vivere un'altra giornata...di sole.

lunedì 16 febbraio 2009

Domenica umida


Mi affaccio di nuovo, nessuno.
Aspettare, aspettare.

Tornare.
Troppo freddo, troppo umido

Due vecchi.

Nel giardino
tra le ombre
acqua su acqua ascolto.

Domenica umida
nelle ossa, dietro il collo
al vuoto dedico lo sguardo
Risalgo
sotto il nevischio
dai lampioni
di vetro giallo
colla.
Sarà lunedì,
come al solito.

sabato 14 febbraio 2009

La sedia di Cascella


Sono passato anche questa domenica. Arrivo alla curva, insieme alle bambine. Sono sempre un po' restie a scendere per la scorciatoia. Ma l'abitudine a queste strada scoscesa , scavata nel tufo del promontorio, che scende veloce fino alla Statale, sui ruderi dell'antica fornace, è qualcosa che ho, fin da quando, con mio nonno, tornato dall'Aquila per le vacanze, scendevamo ai Saraceni per evitare l'utilizzo della corriera. Nonno aveva passato , a quei tempi, i sessanta, ma era dotato di un vigore giovanile unito ad un querulo atteggiamento pre anziano, disgustato dalle mode giovanili. Mi accomunava a quella marmaglia di flaccidi adolescenti, giammai temprati dalla guerra e dalle povertà in genere, auspicando, lui comunista per adozione, in quanto statale, un ritorno a rigidi sistemi di stampo fascista. A quei tempi il ripido crinale non aveva subito gli smottamenti che ne hanno mutato l'orografia. La scorciatoia era lunga. Durante un periodo di forte piovosità, negli anni '80, il crinale era andato giù come un mucchio di farina. Salivamo a mezzogiorno, per il pranzo, tra le querce ed i papiri bassi, scostando le foglie e le mosche, tra il rumore assordante delle cicale, che faceva da scudo al rombo delle macchine sotto la strada. Era affanno, caldo, con i sandali insabbiati e la fame che solo un ragazzino in vacanza può avere. Nel pomeriggio stessa solfa, stesso percorso ed io spesso rimpiangevo quelle frescure da serranda abbassata della mia cameretta, dove avrei preferito passare il tempo, giocando con i soldatini. Ma su quella curva, a volte, trovavamo un anziano, con una sediolina, un cavalletto ed una tavolozza. Aveva la pipa in bocca e passava il tempo a dipingere su quell'affaccio poco pudico, la schiena alla strada vicina, indifeso alle curiosità altrui. Lui non se ne curava e trovava sotto quell'enorme pino ombrellone, una posizione ideale per realizzare i suoi quadri. Nonno gli passava accanto, incitandomi ad affrettare il passo, quasi il pittore fosse d'intralcio. Nonno non amava quelle perdite di tempo. Aveva qualche quadro a casa, di quelli che vendono ai mercatini, ma in lui il concetto di artista o arte era relegato al dopolavoro ferroviario. Non lo faceva con cattiveria, non avrebbe potuto. Io pensavo a quell'uomo, leggermente curvo sulla sedia, che riusciva a concentrarsi sempre sullo stesso paesaggio. era come se fissasse un punto non precisato dell'orizzonte. Come una scusa per stare lì, impalato, mentre piccole e regolari pennellate, coprivano la sua tela. Quell'uomo era Michele Cascella, uno dei pittori più quotati del dopoguerra italiano. Era ortonese ma non abitava più ad Ortona da anni. Forse era diventato famoso per questo. Non c'è più Cascella, non c'è più mio nonno. Ci sono io a scendere con le mie bambine, a fissare lo stesso punto non precisato dell'orizzonte, a cercare qualcosa...

mercoledì 11 febbraio 2009

Beniamino, Ortonese senza Ortona


Beniamino, sei stato lontano, ma che sei andato a fare? Da queste parti ti abbiamo dimenticato in fretta. Qualcuno ha detto che scrivi, ma in edicola non trovo nulla con il tuo nome sotto. Lo so, pensi sempre all'Orientale, all'arietta fresca della sera estiva... potevi rimanere, avresti fatto il notaio o l'impiegato al comune. Così ti avremmo preso in giro tra colleghi, figuriamoci: un Ortonese che scrive, ma che devi fare? Ma lo vedi che ridiamo tutti di quella tua mania di prendere la penna, di meravigliarti per le cose, di incuriosirti. Lascia stare, vatti a fare un bagno sotto ai Saraceni. Questo è il paese dei mediocri e chi non si adatta è scemo, è strano, è da evitare. Lontano da Ortona, dall'Italia, non ti si vede, fai quello che ti pare. Dicono che insegni all'Università, in America, che sei andato in Spagna a scrivere di Don Chisciotte. Guarda che qua, i mulini a vento sono troppi, altro che la fine di Don Chisciotte faresti! Dacci retta, stattene dove stai, che da queste parti un Ortonese che ha fatto fortuna all'estero è gradito solo quando viene in vacanza. Quando vuole ritornare per sempre ed incomincia fare il filosofo, perchè ha visto e sentito quello che c'è fuori da queste mura, rompe solo i coglioni. Non ti aspettare la gloria., la cittadinanza onoraria. Quanto sarai morto, ti intitoleranno al massimo la via che porta sotto qualche fosso, al canile...

domenica 8 febbraio 2009

La considerazione degli altri


Abbiamo un difetto. Pensiamo sempre che gli altri, quelli che abitano al di fuori del nostro paese, ragionino con la nostra testa. Per noi, Ortona, dovrebbe essere il centro del mondo, il centro delle attenzioni, un luogo dove molte cose avvengono e dove queste vengono conosciute anche da chi abita centinaia di chilometri lontano. Ortona un luogo la cui storia è nota a tutti, tanto che ci scandalizziamo quando, parliamo con dei forestieri e questi conoscono a malapena Pescara. Questa immagine è quella di una guida turistica autorevole che parla di Ortona. Al nostro paese viene dedicato, quasi lo stesso numero di righe che ad Orsogna, con la differenza che di Orsogna c'è una fotografia di un particolare architettonico. Ora, se valutiamo la considerazione dell'importanza che noi abbiamo di Orsogna e la comparazione che uno straniero fà delle nostre due città, leggendo la guida, il risultato è sconfortante per la considerazione che invece noi abbiamo di Ortona. Se riuscissimo a collocare adeguatamente nella nostra testa il valore effettivo della nostra cittadina, senza la mediazione dei sentimenti personali, potremmo avere un salutare ridimensionamento delle nostre aspettative e questo potrebbe essere un buon metodo per cominciare a ricostruire un'identità ortonese.
Buona Domenica

giovedì 5 febbraio 2009

Niente di nuovo sul fronte Orientale


Dalla veduta, si scende, passo lento, mani nelle tasche, fino alla rosa dei venti sul pavimento, dove una volta scendeva la funiculère, diretta alle spiagge d alla stazione. Ma la sera è fredda e le luci dei pescherecci lentamante sfilano verso gli attracchi. Chi non sopporta la vista del giorno che ci abbandona, riesce a superare la notte, per arrivare all'alba. Ad oriente, sempre sull'affaccio umido e brinoso, esplode il sole a tagliare il mare, di grigio ghiaccio, incorniciato tra i moli. Sono braccia che accolgono le onde, spesso dirette e tese all'imboccatura. Nitidi si scorgono sui camminamenti a mare, i passeggiatori lontani, ansiosi di raccogliere i primi respiri del giorno. Questa è Ortona, un frutto malefico che ti ammalia. Alzi il pugno ad anatema sulle nubi stirate di giallo, ma il gesto è inane. Subito il calore del sole, scioglie le spalle e ti senti raccolto fino alla curva presso la torre del castello, dove il vento ti sorprende e schiaffeggia a ricordarti che è ora di andare: c'è tanto da vivere. Anche oggi

martedì 3 febbraio 2009

San Biagio

San Biagio Il Santo protettore della gola


lu grazzijone
a protezione degl
i stragajjune




Sande Bbièesce tenè nove fratielle.
Da nove ha 'rmaste a òtte:
da òtte ha 'rmaste a ssette:
da sette ha 'rmaste a ssiè:
da siè ha 'rmaste a cinghe:
da cinghe ha 'rmaste a quattre:
da quattre ha 'rmaste a ttre:
da tre ha 'rmaste a ddù:
da ddù ha 'rmaste a une.
Sande Bbièsce, squajje ste gaiiune!
J' te segne + e Ddijje t'arsène



Nen parlè... ca tiè 'nnènze sande Bbièsce!

domenica 1 febbraio 2009



La scusa migliore per coprire il fatto che una città vada all‘acqua dei granchi, è quella di affermare che non è colpa di chi la amministra ma della “crisi internazionale che è più grande di noi”! C’è una piccola verità in questo, ma c’è anche una grande menzogna. Quindici anni di questa amministrazione si prospettano all’orizzonte. Quindici anni nei quali l’amministratore intelligente, lungimirante , sagace, è in grado di progettare i futuri assetti socio - economici del paese in cui vive e nel quale ha deciso di investire le sue energie. L’amministratore capace, intelligente, sa benissimo che una scelta buona per la comunità porterà dei benefici anche a se stesso, perché egli è cittadino assieme ai cittadini. L’amministratore capace non solo crea le opportunità perché il contesto economico si sviluppi, grazie ad un consolidamento delle strutture produttive, ma crea anche i presupposti secondo i quali, l’accresciuto benessere degli altri, porti lavoro e vantaggi anche a se stesso. L’amministratore fa tutto questo se ha l’idea, l’idea di città che desidera per sé e per gli altri. L’idea si forma solo ed esclusivamente attraverso l’ascolto degli altri, le esperienze degli altri e la cultura, sì la cultura del territorio, l’amore della curiosità, il desiderio del cambiamento, la sensibilità per ciò che siamo, ciò vorremmo essere. Tutto questo crea le idee. Senza idee, un amministratore è solo un contabile degli eventi. Ma l’amministratore lavora bene se gli amministrati partecipano di queste idee. Se l’amministratore persegue l’interesse personale, il profitto a discapito degli altri, crea degli amministrati simili, crea dei microcosmi, dei micro comuni, nei quali ognuno è padrone di se stesso e pensa solo a ciò che lo riguarda. L’amministratore che legalizza la sua ingordigia è l’emblema di chi non sa fare altro, per un semplice motivo: non ha idee. Ortona è stata ed è amministrata da quindici anni in questo modo. Si stima che molti di coloro i quali ci amministrano, non conoscano che il 5% delle regole di funzionamento della macchina amministrativa. Si calcola che solo il 10 % di loro compili una scheda elettorale senza il timore che essa venga annullata durante lo scrutinio. Come possiamo delegare i nostri destini, i nostri futuri e quelli dei nostri figli ad individui mediocri che hanno spacciato una meno che mediocre ordinaria amministrazione per cambiamento radicale di una città. Come possiamo pensare che questi amministratori, totalmente incapaci di tenere saldo un tessuto produttivo che si va sgretolando giornalmente, possano garantirci giorni migliori, quando non sono stati all’altezza della situazione in momenti non sospetti. Abbiamo spacciato grandi serbatoi clientelari come il centro commerciale, per occasione di rinascita della città, quando è nella natura di queste imprese, creare emorragie di denaro locale in favore di multinazionali. Cosa abbiamo avuto in cambio? Un pessimo maquillage dell’Orientale. Solo grazie ad un onorevole, alla cui continua e strana (per gli ortonesi) presenza non si era abituati, il rudere del Castello Aragonese e la Pretura hanno avuto nuova vita. Ci si è calati le braghe davanti ad un costruttore ed a un non-cinema, ci si cala le braghe davanti ad un altro costruttore che tiene aperti cantieri in centro per il tempo che gli pare. Le manutenzioni comunali sono ai minimi storici, da tempo ricompaiono le pantegane, che non si vedevano dagli anni ‘70, la città sembra avere un patina su di sé che si nota, girando ed osservando le strade , i vicoli, le case, le aiuole. Ma la città siamo anche noi, corresponsabili di questo imbarbarimento, di questo non amore per il luogo in cui viviamo. La risposta è una sola: non siamo una comunità, non lo siamo mai stati. La battaglia di Ortona ha distrutto non solo gli edifici, ma anche il senso di appartenenza, di sentire corale. Siamo un Comune che non ha nulla in comune. E’ naturale quindi, essere amministrati da persone alle quali della comunità non frega assolutamente nulla. Nascono così i piani regolatori ad personam, dove gli amministratori si disegnano zone di sviluppo e poi si costituiscono società immobiliari per costruirci sopra. Negli Stati Uniti questi amministratori verrebbero arrestati in pigiama per insider trading. Ad Ortona, riescono addirittura ad essere riveriti in chiesa, solamente perché si sciacquano le mani nell’acqua santa. Ad Ortona, grandi elettori riescono a spillare energie comunali, inquinando torrenti. Ad Ortona individui dotati di Lauree in Medicina, riescono a discutere di urbanistica e laureati in Legge diventano improvvisamente esperti di musica classica, teatro, pittura, poesia e filologia romanza. Ad Ortona, individui che in altri paesi non vincerebbero neanche a briscola nel bar del dopolavoro, fanno i vicesindaci, discutono di alta politica decidono il mio ed il vostro futuro. Ad Ortona, dove si con chi ci pare, ma ci si sposa solo tra persone delle stesse famiglie di affari, si entra in società miste pubblico - privato, dove i cugini stanno in comune e gli zii stanno in ufficio a scambiarsi le cariche, i gettoni di presenza, i bonus. Ad Ortona, il Consiglio comunale è diventato meno importante di un aperitivo al bar o di un quarto di finale di coppa Italia. Ad Ortona, noi siamo i maggiori colpevoli, perché abbiamo preso con leggerezza il voto, usando un’ arma così importante per delegare le nostre vite ad una tribù di individui socialmente pericolosi. Ortona sta morendo nella decisione di non decidere. Non si decide sul centro oli, perché si è favorevoli ma anche contrari, aspettando che qualche “nome” da Roma dica che posizione prendere e soprattutto perché si ha paura di perdere voti. Negli ultimi quindici anni siamo sopravvissuti ad una amministrazione scellerata, perché ha prodotto il nulla assoluto, il sottovuoto perpetuo e ci ha fatto credere che fosse la migliore opzione. Con questa convinzione andremo a votare alle prossime comunali e siamo sicuri che il vuoto vincerà di nuovo, perché le idee fanno paura.