“Ogni riferimenti a fatti o persone è puramente casuale o casualmente
puro”.
Prima puntata
Nel ridente villaggio,
amorevolmente allocato tra le montagne e il mare, terreno di coltura per il
politico di turno, gli irsuti e paonazzi contadini, si moltiplicano fertili, spandendo,
tra le campagne di viti ordinate, la progenie loro, pronta a conquistar
gloriosa, i feudi viciniori. I vecchi, posto lo scarpone sull’apice della
vanga, maledicono la zolla appiccicosa che impedisce loro di camminare svelti
per le strade di questo modo. Altro sperano per i figli loro, augurandosi il
riscatto dalle grame esistenze di cafoni. Una laurea, un dottorato, un carriera
fatta di gradi nelle italiche caserme. Il giovane che agli studi ben promette,
tosto vien mandato nelle città del mondo a diventar qualcuno, alcuni indossan
la divisa. Rimane tuttavia un nutrito branco di fanciulli, i quali attendono l’occasion
propizia, continuando a sforbiciare le viti, legandole ordinate. Negli opifici,
lungo le vie maestre talvolta espletano il loro genio meccanico, altre volte
apron le botteghe. In ultimo rimangono solo i restii ai libri, color ai quali
una vecchia maestra prende i capoccioni, per strofinar le nocche sulla testa di
neri capelli. Il periodo è pregno di
nonne sopravvissute a linee Gustav, nascondendo gli ori nelle grotte di
vallone, tra una gallina che produce qualche ovetto e le radici da bollire per
farci le zuppe ai figli smunti. Arrivano, insieme alla Vespa e le rate per il
televisore, i senatori bonari i quali carezzano i fanciulli durante le feste
patronali, con il cafone rivestito che bacia loro la mano a chiedere grazie,
favori ed una buona parola affinchè le braccia rubate all’agricoltura non
“faccino” il militare tra le zanzare del Polesine. Sbavano, sul dorso dell’arto
cicciuto, leccano con la coppola in mano e la lagrima da strizzare via dalla
palpebra, a mostrare il villico, prostrato davanti all’uomo che può.
Nel
frattempo, il senatore di turno, mentre si lascia sbavazzare la mano, conta i
voti della famiglia e a tutti distribuisce numeri da combinare sulla scheda a
realizzar miracoli e uno scranno in parlamento. Così, arriva il congedo per i
novelli zappatori insieme alla tessere scudocrociata, posata dal babbo
riconoscente a monito della prole sua. Ma le madri imbiancano, i padri muoiono,
le nonne si cagano addosso davanti ai larghi camini nelle sere di ottobre
quando, i nipotini avvezzi al rosario della sera insieme agli scapaccioni e al
timor di Dio, scorgono i primi languori pubici con le immagini della cosciuta
Parisi. L’assioma paterno recita il disprezzo della donna, il pallone maschio,
la gara di sputo radente e il dovere di metterlo nel culo al confinante. Cresce
in siffatto modo, il giovinetto, costretto alla riga di lato, alla glabra nuca,
dalla madre che lo adora fino all’estremo sacrificio purchè si trovi un posto
fisso e il resto si vedrà. Nell’estremo nitore delle facciate, dei giardini ben
rasati, delle madonne in gesso presso l’ingresso, l’odor di libri è come
l’iprite per l’austro ungarico, è polvere che si accumula inutile sugli
scaffali, è lo sterco del diavolo che corrompe il giovine e lo distoglie
dall’unico obiettivo del genitore ovvero generare l’anaffettivo, perché la vita
è dura in ogni caso e gli scrupoli riempiono le buche nel cimitero. Tutto è
concesso, perché la selezione naturale è un dogma darwiniano; il giovinetto lo
impara a tirare bastonate sulla testa dei conigli, a sgozzare tacchini, a
recidere le giugulari ai porci. Quando il “cello della casa” è quasi uomo,
iniziano i confronti coi compagni di bisboccia, crescono le invidie per i figli
dei compari di cui sopra, mandati a studiare in città, a fare il dottore,
l’ingegnere. Il uaglioncello di primo pelo anela anche lui al pezzo di carta da
appendere nel salotto buono, perché vuole comandare in “frazione”. Ci prova e
ci riprova mentre la fidanzatina lo aspetta a casa per coronare il sogno della
cafonetta: sposare il laureato. Ma lo sforzo manda il ragazzo sotto sforzo: i
libri tanto odiati, tornano a pesargli sul groppone, non sa come sfogliarli. Al
massimo potrà mandar a memoria i titoli, tanto per farsi il figo il sabato in
paese. Giunge il tanto agognato giorno per la rubizza senatrice, di mieter voti
e clientele nella ridente cittadina… (continua).