sabato 25 ottobre 2014

Ortona, paese dei cazzi miei ( Piccolo trattato di etologia frentana)



Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni, nello scontro frontale all’interno del partito di maggioranza della nostra cittadina, è il risultato della pessima educazione ricevuta dai genitori, di alcuni amministratori ortonesi. L’imprinting animale, quando viene esercitato dai procreatori, serve a stabilire e definire caratterialmente ogni singolo membro della cucciolata. Se volessimo fare un esempio con i canidi, potremmo affermare che la madre del setter o dell’epagneul breton, insegna ai propri cuccioli, le movenze della ferma o della punta, incentivando determinati comportamenti. Così come i rapaci, educano, i loro pulcini, all’attività della caccia. Questi insegnamenti, rimangono impressi nel cucciolo, il quale, da animale adulto, sarà aduso a ciò che ha imparato. Tornando al caso umano e , nello specifico, al caso ortonese: se il piccolo avvocato o dentista o professionista, sono stati educati, da piccoli, alla pratica del sopruso, dell’ingordigia e dell’egoismo, visti come “qualità” necessarie per avere successo, questi individui, una volta entrati da adulti, nella cosiddetta società attiva (quella riguardante le attività lavorative ed i rapporti tra gruppi umani), applicheranno in modo istintivo gli insegnamenti ricevuti nella fanciullezza. Questo imprinting, potrà essere dissimulato tramite l’utilizzo della ragione, la quale può intervenire come freno , onde evitare atteggiamenti cosiddetti “sconvenienti” nei rapporti di cui sopra, ma emergerà prepotente, qualora riemergano potenti i catalizzatori che esaltano le linee educative ricevute: successo, sopruso e arricchimento tramite l’esercizio del potere e la gestione del denaro. In genere, taluni individui, utilizzano alcuni meccanismi per poter accedere alle chiavi del soddisfacimento delle loro esigenze: dall’ingresso in alcuni consessi sociali esclusivi quali club ed associazioni ( sfruttando i successi lavorativi e scolastici), alla frequentazione di circoli nei quali venga esaltato il lato spirituale degli individui che frequentano ( movimenti religiosi e culturali). Abbiamo lasciato in ultimo, il modo più semplice, per arrivare al successo: la candidatura in liste e partiti, per il governo del proprio territorio.  Gli uomini e donne di cui trattiamo, nascondono, nella scelta di “attivarsi per la città, mettendosi al servizio della comunità”, la loro reale natura, quella modellata loro dai genitori. Arroganza, ingordigia, egoismo, riemergono, a discapito dei cittadini ai quali loro, a tempo debito, promisero attivismo, buona amministrazione e ottima gestione del bene pubblico. Quando gli stracci volano o meglio, quando la merda viene a galla, l’imprinting primordiale riemerge, dal suo letargo, come un rotweiller al quale la madre nutrice abbia insegnato ad azzannare le chiappe del ladro che scavalca il recinto di casa. Inutile nascondersi dietro comunicati di partito o conferenze stampa con volti contriti, meglio leggere trattati di etologia: si potranno trovare risposte più dirette ai propri comportamenti.

giovedì 5 giugno 2014

Il Comandante Cesare



Papà è imbarcato”. Rimanevo affascinato quando udivo queste parole dai miei nuovi compagni di scuola, io, appena arrivato da Milano, da quella città degli anni ’70, fatta di violenza, di smog, fabbriche, manifesti dei radicali e prostitute la sera sotto casa. Il mare per me, era la spiaggia dei Saraceni, pescare sotto i trabocchi abbandonati, andare alle Tremiti con il Nibbio. In ogni famiglia ortonese, c’era stato o c’era, qualcuno che avesse avuto a che fare con il mare. Me le ricordavo le facce dei miei compagni, quando scendevamo sotto a piedi, la mattina presto, tra i pescatori che rammendavano le reti su via Cervana, quasi storditi dall’odore dell’olio dei motori, la puzza di pesce e le alghe secche ammucchiate. Vedevo i miei compagni guardare con fastidio a quelle banchine, pensando ai padri lontani, in un porto cinese od australiano. Parlavano come può parlare un ragazzino, dei padri assenti quasi senza volto, come li avessero dimenticati in un limbo di uomini persi nella nebbia di un fiordo, a riapparire ogni tanto con le valigie piene di ricordi e qualche puttana nascosta nelle loro menti, a smorzare il desiderio delle compagna. Questi padri lontani parlavano dai telefoni pubblici di Singapore, di New York, ad orari concordati, affinchè i figli si mettessero sulla sedie per arrivare all’apparecchio, per sentire le voci di quei marinai, ai quali chiedevano di essere padri a Natale o a Pasqua, senza risposte. Era difficile vederli, i padri. Entravi nelle case dei miei amici e sentivi la loro presenza negli oggetti, usciti dalle valigie aperte dopo sei mesi, un anno, due anni. Arrivavano i padri, davanti la porta di casa c’erano questi figli sempre più grandi, sempre più diversi, estranei. Nel volto delle madri, costrette ad essere uomini, ad essere famiglia, tra le mura delle loro solide case, fatte con le tempeste nel Pacifico, con le roventi coste d’Africa, con i ghiacci di Terranova, dove i padri, stretti nel rombo delle macchine, sotto le chiglie o serrate nei cappotti in plancia, guardavano le fotografie dei loro bimbi, attaccate con lo scotch ai bordi degli oblò. I miei compagni mostravano orgogliosi i regali dei padri da tutto il mondo. Mancava la luce nei loro occhi, la luce di quegli uomini lontani a contare i giorni: Tommaso, perché nei mari del mondo c’è sempre un Tommaso che naviga, Ernesto, Pompeo e la sua Bourbon Street, Nino ed i suoi bambini del Maracanà, Gabriele e le navi granaio sul Baltico, che ci mettevano due mesi a scaricare, Antonello al Centro del Golfo del Messico, Cesare e le sue scatole di sigari.

I padri andavano in pensione nelle città da dove erano partiti e nelle quali si perdevano più facilmente che a Bangkok. Li vedevi i padri, vecchi con le rughe rubate ai venti dell’oceano, guardare il mare dall’Orientale, sperando che nuove petroliere potessero arrivare a prenderli di nuovo, perché quando si è stati così lontani, per così tanto tempo, gli affetti sono affetti senza ancore. Questi figli con i padri anziani accanto, quasi volessero convincersi che furono bambini mentre un uomo spingeva la loro altalena od alzava la voce per un compito non fatto, guardano questi vecchi pensando a quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Li rivedo, i miei compagni, con le barbe bianche come la mia, ora che perdono per sempre i loro padri, aspettare che qualcuno telefoni loro, da molto lontano, per promettere che sì, torneranno per Natale e resteranno a casa, per sempre.