sabato 11 luglio 2020

Il donzelletto che vien dalla campagna (Parte quarta)

Un avido avvocato, nel pien della tenzone politica, ha notato il donzelletto accompagnarsi con molti villici suoi pari. Sotto i baffi già fa due conti su quanto il fanciullo conti tra il contado, allora lo prende, lo fa consigliere comunale novello, lo educa alla sodomia in pubblica piazza dei nemici, a l’intrufolarsi viscido nei meandri degli uffici comunali, lo istruisce a l’uso degli asfalti elettorali a orologeria stesi prima del voto. Dopo cotanta gavetta, il giovincello, ormai rotto a qualsiasi rotta, si sveglia un bel giorno e anela allo scranno di primo cittadino. Lo vuole, a qualsiasi costo. Ha deciso che passerà su tutti, come uno schiacciasassi seduce uomini, donne, vecchi e bambini affinchè lo seguano nell’avventura ma silente, ordisce trame con coloro ai quali deve eterna gratitudine per tutti i favori ricevuti. Per lui non esistono né bianco né rosso né altresì nero ma voti e preferenze da estorcere con le più bieche menzogne tanto c’è tempo per provar vergogna. I suo piede diviene multiforme tanto che riesce a trasformarsi in quadrupede, pentupede, esupede, etttupede ottupede, pur di tener lo stival in più staffe. 

Contro tutto e contro tutti vince e subitamente epura color che gli sono stati più fedeli nelle avversità al fin di circondarsi di una corte dei miracoli dove chi ha la lingua più lunga lecca di più. Arrivano i manovratori ne l’ombra a chieder conto delle richieste di aiuto che un tempo fece a loro tanto che si vede costretto a donare assessorati, uffici e cordone della borsa ai più biechi figuri i quali accettano senza ringraziare, la fatica che altri hanno fatto in buon fede, per arrivare alla vittoria chiedendo voti e ponendo la propria faccia a garanzia. Il donzelletto ormai sindaco non condivide, somministra. L’omniscienza è calata in lui come lo spirito santo nel momento in cui ha indossato la fascia tricolore. La sua protervia si rivela sui sottoposti e su tutti colori che cercano di redarguirlo in un moto di affetto disinteressato. Egli ammette solo lodi, non critiche. La sua atavica ignoranza di chi è cosciente di aver sempre schifato i libri, si rivela ne l’arroganza dei gesti, nel confidar sulle persone sbagliate, che lo porteranno al fosso con un applauso e una pacca sulla spalla. Egli diviene prigioniero e tuttavia nega a se stesso la sua condizione di detenuto in ostaggio. Egli intuisce come si possa pensar in grande ma si adira del fatto di non poter minimamente sfiorare questa condizione. Inizia a riempirsi l’attaccapanni del suo ufficio e della sua casa, di maschere che egli dovrà indossar al fin di apparire fulgido, impenetrabile, inossidabile, inattaccabile, con qualche foto sui social, per un fiore posto dentro un’aiuola abbandonata e l’inaugurazione di una sagra della castagna in riva al mare. Di tutto ciò che vede non sa nulla ma si fa istruire affinchè chi non lo conosca, legga nelle sue parole imparate a memoria sul divano di casa, il fervido interesse per ogni cosa accada nel suo regno.
Egli ritorna al borgo natìo ove cerca di fuggire talvolta, dai villici ai quali fece promesse, cercando sangue fresco e nuovi polli per rimanere in sella alla prossima tornata elettorale. Altri abboccheranno, molti andranno a questuare posti per altri giovani simili a quello che lui fu quando ancora razzolava in ciabatte per l’aia a toccare il culo delle galline.