sabato 7 settembre 2013

Wherever I lay my hat, that's my home

Non ci sono riuscito. Eppure ci ho provato. Sono passati tre anni da quando ho traslocato in una frazione del mio comune. Ho cambiato stile di vita ed orizzonti , iniziando a vivere la campagna in tutte le sue sfumature. Ho dovuto entrare nei meccanismi delicati che regolano i rapporti, specialmente quelli consolidati nelle piccole comunità dove, si è stretti nella morsa del vicinato, fin dalla nascita, dove ognuno deve essere partecipe della tua vita e tu devi essere partecipe della sua in una sorta di apoteosi dell'empatia forzata, totalmente contraria alle dinamiche cittadine. Un luogo dove un metro di confine può esere oggetto di dispute sanguinarie, dove un favore ha da essere ricambiato, pena la rottura dei rapporti. Ho iniziato così, sfruttando la terra, ad avvicinare chi quella terra la viveva e con essa dava sostegno alla famiglia. Ho iniziato a coltivare un piccolo orto, cercando, con umiltà, di avvicinare i contadini più anziani, per conoscere segreti, stagioni, tecniche. Piano piano il mio orto è fiorito insieme alla confidenza  con questi uomini, profondamente diversi da quelli del "capoluogo". Tuttavia qualcosa non è passato inosservato. La comunità nella quale vivo, considera elemento qualificante, la partecipazione alla pratica della fede, nelle sue istituzioni fondamentali. Professare un certo agnosticismo, o addirittura ateismo è simile a praticare il satanismo. La cosa più preoccupante è stata scoprire come ogni atteggiamento moralmente civile,  fosse meno valido, se non accompagnato da una giustificazione religiosa. Hanno iniziato a prendere il sopravvento le prime prese di distanza dalla mia famiglia. Le mie attività sportive, la normale "eccentricità" del nostro atteggiamento familiare è stata intesa come fortemente deviante e destabilizzante per una comunità, unità strettamente e poco propensa ad accettare esterni come elementi di arricchimento per la comunità stessa. Ho iniziato a percepire un leggero senso di isolamento che all'inizio imputavo ai doveri che ognuno ha e che portano spesso a non avere tempo per i rapporti sociali. Piano piano ho scoperto che questo isolamento in parte era dovuto alla mia impossibilità di partecipare alle attività aggreganti della mia comunità. Pranzi, cene, manifestazioni folklorisitche e religiose, attività musicali e sportive. in ogni caso eventi organizzati da un gruppo fortemente unito perchè cresciuto con una identià comune e consolidata dal contesto territoriale. Alla fine, non sono stato accettao e non mi sono fatto accettare. Ho tirato i remi in barca ed ultimamente, mi limito al saluto cordiale che è dovuto specialmente alle persone anziane. Non sono solo in questo atteggiamento. Ho scoperto che esiste una parte della popolazione la quale, concepisce contrada, come luogo di riposo e pernottamento, preferendo altri siti per espletare i bisogni di socialità. Sono persone che riesco solo a scorgere , la mattina, quando vanno al lavoro e la sera quando rientrano. Esse non hanno alcun rapporto con i contradaioli e, ho scoperto, non intendono averne assolutamente.
Esiste anche un elemento molto inquietante: la vita a stretto contatto, anche visivo, con i vicini e la mancanza di rapporti, costringe gli altri a tessere la trama delle vite altrui, costruendo miti e leggende, le quali, passate di comare in comare, assurgono a poemi epici, molto spesso conditi da poco nobili gesta. Si diventa strani ad honorem. Inizi a notarlo quando tenti il saluto ed ottieni una risposta ritardata da una finta distrazione. Quando le ciance delle attempate signore scendono di volume al tuo passaggio, quando le ombre si muovono, dietro gli scurini, ad osservare il uo passaggio, per scrutare i tuoi vestiti, le tue borse, le tue buste della spesa ed i tuoi armeggi davanti la macchina parcheggiata. Approssimandosi il terzo autunno, voglio dire basta. Non mi va più di forzare il mio animo nella ricerca di un punto di contatto, non voglio cercare il cenno di saluto, non voglio essere il primo ad avvicinarmi. I nostri mondi non combaciano, non ci sono migliori o peggiori modi di vivere e di pensare, sono solo diversi e non collidono. Non c'è molto da fare. Ci abbiamo provato, ci ho provato. Non ce l'ho fatta.