sabato 30 novembre 2019

Il donzelletto che vien dalla campagna


“Ogni riferimenti a fatti o persone è puramente casuale o casualmente puro”.
Prima puntata
Nel ridente villaggio, amorevolmente allocato tra le montagne e il mare, terreno di coltura per il politico di turno, gli irsuti e paonazzi contadini, si moltiplicano fertili, spandendo, tra le campagne di viti ordinate, la progenie loro, pronta a conquistar gloriosa, i feudi viciniori. I vecchi, posto lo scarpone sull’apice della vanga, maledicono la zolla appiccicosa che impedisce loro di camminare svelti per le strade di questo modo. Altro sperano per i figli loro, augurandosi il riscatto dalle grame esistenze di cafoni. Una laurea, un dottorato, un carriera fatta di gradi nelle italiche caserme. Il giovane che agli studi ben promette, tosto vien mandato nelle città del mondo a diventar qualcuno, alcuni indossan la divisa. Rimane tuttavia un nutrito branco di fanciulli, i quali attendono l’occasion propizia, continuando a sforbiciare le viti, legandole ordinate. Negli opifici, lungo le vie maestre talvolta espletano il loro genio meccanico, altre volte apron le botteghe. In ultimo rimangono solo i restii ai libri, color ai quali una vecchia maestra prende i capoccioni, per strofinar le nocche sulla testa di neri capelli.  Il periodo è pregno di nonne sopravvissute a linee Gustav, nascondendo gli ori nelle grotte di vallone, tra una gallina che produce qualche ovetto e le radici da bollire per farci le zuppe ai figli smunti. Arrivano, insieme alla Vespa e le rate per il televisore, i senatori bonari i quali carezzano i fanciulli durante le feste patronali, con il cafone rivestito che bacia loro la mano a chiedere grazie, favori ed una buona parola affinchè le braccia rubate all’agricoltura non “faccino” il militare tra le zanzare del Polesine. Sbavano, sul dorso dell’arto cicciuto, leccano con la coppola in mano e la lagrima da strizzare via dalla palpebra, a mostrare il villico, prostrato davanti all’uomo che può.
Nel frattempo, il senatore di turno, mentre si lascia sbavazzare la mano, conta i voti della famiglia e a tutti distribuisce numeri da combinare sulla scheda a realizzar miracoli e uno scranno in parlamento. Così, arriva il congedo per i novelli zappatori insieme alla tessere scudocrociata, posata dal babbo riconoscente a monito della prole sua. Ma le madri imbiancano, i padri muoiono, le nonne si cagano addosso davanti ai larghi camini nelle sere di ottobre quando, i nipotini avvezzi al rosario della sera insieme agli scapaccioni e al timor di Dio, scorgono i primi languori pubici con le immagini della cosciuta Parisi. L’assioma paterno recita il disprezzo della donna, il pallone maschio, la gara di sputo radente e il dovere di metterlo nel culo al confinante. Cresce in siffatto modo, il giovinetto, costretto alla riga di lato, alla glabra nuca, dalla madre che lo adora fino all’estremo sacrificio purchè si trovi un posto fisso e il resto si vedrà. Nell’estremo nitore delle facciate, dei giardini ben rasati, delle madonne in gesso presso l’ingresso, l’odor di libri è come l’iprite per l’austro ungarico, è polvere che si accumula inutile sugli scaffali, è lo sterco del diavolo che corrompe il giovine e lo distoglie dall’unico obiettivo del genitore ovvero generare l’anaffettivo, perché la vita è dura in ogni caso e gli scrupoli riempiono le buche nel cimitero. Tutto è concesso, perché la selezione naturale è un dogma darwiniano; il giovinetto lo impara a tirare bastonate sulla testa dei conigli, a sgozzare tacchini, a recidere le giugulari ai porci. Quando il “cello della casa” è quasi uomo, iniziano i confronti coi compagni di bisboccia, crescono le invidie per i figli dei compari di cui sopra, mandati a studiare in città, a fare il dottore, l’ingegnere. Il uaglioncello di primo pelo anela anche lui al pezzo di carta da appendere nel salotto buono, perché vuole comandare in “frazione”. Ci prova e ci riprova mentre la fidanzatina lo aspetta a casa per coronare il sogno della cafonetta: sposare il laureato. Ma lo sforzo manda il ragazzo sotto sforzo: i libri tanto odiati, tornano a pesargli sul groppone, non sa come sfogliarli. Al massimo potrà mandar a memoria i titoli, tanto per farsi il figo il sabato in paese. Giunge il tanto agognato giorno per la rubizza senatrice, di mieter voti e clientele nella ridente cittadina… (continua).

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