sabato 14 febbraio 2009

La sedia di Cascella


Sono passato anche questa domenica. Arrivo alla curva, insieme alle bambine. Sono sempre un po' restie a scendere per la scorciatoia. Ma l'abitudine a queste strada scoscesa , scavata nel tufo del promontorio, che scende veloce fino alla Statale, sui ruderi dell'antica fornace, è qualcosa che ho, fin da quando, con mio nonno, tornato dall'Aquila per le vacanze, scendevamo ai Saraceni per evitare l'utilizzo della corriera. Nonno aveva passato , a quei tempi, i sessanta, ma era dotato di un vigore giovanile unito ad un querulo atteggiamento pre anziano, disgustato dalle mode giovanili. Mi accomunava a quella marmaglia di flaccidi adolescenti, giammai temprati dalla guerra e dalle povertà in genere, auspicando, lui comunista per adozione, in quanto statale, un ritorno a rigidi sistemi di stampo fascista. A quei tempi il ripido crinale non aveva subito gli smottamenti che ne hanno mutato l'orografia. La scorciatoia era lunga. Durante un periodo di forte piovosità, negli anni '80, il crinale era andato giù come un mucchio di farina. Salivamo a mezzogiorno, per il pranzo, tra le querce ed i papiri bassi, scostando le foglie e le mosche, tra il rumore assordante delle cicale, che faceva da scudo al rombo delle macchine sotto la strada. Era affanno, caldo, con i sandali insabbiati e la fame che solo un ragazzino in vacanza può avere. Nel pomeriggio stessa solfa, stesso percorso ed io spesso rimpiangevo quelle frescure da serranda abbassata della mia cameretta, dove avrei preferito passare il tempo, giocando con i soldatini. Ma su quella curva, a volte, trovavamo un anziano, con una sediolina, un cavalletto ed una tavolozza. Aveva la pipa in bocca e passava il tempo a dipingere su quell'affaccio poco pudico, la schiena alla strada vicina, indifeso alle curiosità altrui. Lui non se ne curava e trovava sotto quell'enorme pino ombrellone, una posizione ideale per realizzare i suoi quadri. Nonno gli passava accanto, incitandomi ad affrettare il passo, quasi il pittore fosse d'intralcio. Nonno non amava quelle perdite di tempo. Aveva qualche quadro a casa, di quelli che vendono ai mercatini, ma in lui il concetto di artista o arte era relegato al dopolavoro ferroviario. Non lo faceva con cattiveria, non avrebbe potuto. Io pensavo a quell'uomo, leggermente curvo sulla sedia, che riusciva a concentrarsi sempre sullo stesso paesaggio. era come se fissasse un punto non precisato dell'orizzonte. Come una scusa per stare lì, impalato, mentre piccole e regolari pennellate, coprivano la sua tela. Quell'uomo era Michele Cascella, uno dei pittori più quotati del dopoguerra italiano. Era ortonese ma non abitava più ad Ortona da anni. Forse era diventato famoso per questo. Non c'è più Cascella, non c'è più mio nonno. Ci sono io a scendere con le mie bambine, a fissare lo stesso punto non precisato dell'orizzonte, a cercare qualcosa...

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