giovedì 19 marzo 2009

Lu Trianguline di San Giuseppe


Ci andavamo spesso. Dopo la scuola, verso le tre, quando non c’erano tanti compiti. Attraverso le ringhiere allargate da una mano desiderosa di entrare, passavamo nel campetto della scuola Elementare a San Giuseppe, a giocare a “Trianguline”. Lu Trianguline era l’incrocio delle sbarre della base del cesto da basket. Senza portiere, due squadre da tre, quattro o cinque giocatori ciascuna, si affrontavano a calcetto, contribuendo alla sua invenzione e diffusione. Verso l’ora della merenda, riuscivamo a dissetarci presso il lavabo di un garage vicino. Lo sentivi che erano le cinque, dall’odore della vicina pizzeria “il Quadrifoglio”. Sul cemento di quel campetto, poco utilizzato per il basket, sono state consumate ginocchia, scarpe, sederi, stinchi e palloni, quintali di palloni. I palloni più quotati erano certamente gli “Yashin” bianchi, pesanti con un pallone di cuoio, allora oggetto molto ambito dai ragazzini e gli Yashin marroni, leggermente più grandi, ma che tendevano a deformarsi. C’erano anche i “Super Santos”, più ricercati per giocare in spiaggia, perché manovrabili a piedi nudi e dal buon rapporto pesantezza durezza. I più sfigati avevano il Tele, che aveva un grosso problema: era leggerissimo e bastava un po’ di vento per renderlo ingovernabile. Dopo “Argentina ‘78” arrivarono i fighetti con il “Tango” in cuoio, oppure in plastica, ma lo Yashin rimaneva imbattibile. Tra i giocatori stava cadendo la moda delle magliette delle squadre, ma io riuscivo a sfoggiare tra i Terùn, una chicca portata da Milano: la maglietta del numero 10 dell’Aiax e cioè Neskens. Non capisco perché mi piacesse, ma quella maglietta arancione, con due striscette nere sulle braccia, faceva un sacco figo. Non ho mai saputo giocare a pallone, ma non giocare per niente era un’onta troppo grande da essere affrontata. Amavo il rugby, da buon aquilano, ed una volta provai a portare il mio pallone ovale, tentando di dare nozioni di base sul gioco più bello del mondo (per me). Finì in una rissa per il semplice motivo che la furbizia e la malizia del calcio vennero applicate dai miei compagni, ad uno sport che invece pretendeva, lealtà, onestà, confronto aperto con l’avversario e spirito di squadra. Quel passaggio mi fece capire molte cose della vita futura. Il rugby impone lo scoperchia mento della propria anima. E’ la stessa cosa dell’andare in montagna. Nelle situazioni di necessità si scoprono i difetti e le virtù. Io non sono mai stato furbo, perché ho sempre considerato la furbizia , un piccolo passo verso la disonestà. Lu Trianguline è stata una sorta di recita della vita per noi che saremmo diventati grandi.

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