La trovammo buttata lì,
lungo il muro della caserma Pasquali, a L’Aquila, la vecchia bicicletta Cimatti
di mio nonno. Ci aveva trascorso tutta la vita a cavallo di quel ferrovecchio.
Aveva un pedivella spezzata. Fu la prima volta che vidi mio nonno con gli occhi
inumiditi dal dispiacere e dalla gioia di averla recuperata. Non aveva la
patente Nunnittu. Quando , da giovane,
aveva ricostruito le linee telegrafiche , in tutta Italia, da nord a sud, usava
la bici per trasportare i pali di legno sui quali montare i cavi. Nonno era un
uomo dalla forza incredibile: riusciva a pedalare tenendo queste lunghe travi
sulla spalla. Sulla bici aveva legata la borsa di cuoio nella quale riponeva la
colazione, gli attrezzi e qualche indumento. Sulla canna di quella bicicletta
aveva fatto crescere figlie e nipoti, su e giù per le strade de L’Aquila. Su
quella bici era andato ogni giorno, al Mercato in Piazza Duomo, tornando a casa
carico di buste. Quel furto no, non lo aveva digerito ma, nonostante tutto,
aveva pensato al ladro, forse un militare il quale, in ritardo per il rientro
in caserma, trattenuto da qualche ragazza alla quale faceva il filo, aveva
pensato bene di “prendere” quella bici lasciata incustodita ed “usarla” come
mezzo che gli avrebbe risparmiato
qualche giorno di corvè. Pensiamo a quel
giovane di tanti anni fa e di come avesse forzato la condivisione della bici di
un altro. Non un furto, ma un mezzo necessario.
Oggi ci nascondiamo dietro alla difficoltà che si cela dietro il concetto
di “Bike sharing”, gli ultimi insuccessi di numerose start up del settore (vedi
il fallimento di BikeMI), vanno a tutto vantaggio dei detrattori , i quali si
ostinano ad affermare l’inutilità delle
isole pedonali e la necessità dei parcheggi nelle città anche le più piccole. Nei
centri urbani come i nostri, dove la dimensione umana è ancora poco mediata
dalle necessità di mercato, possiamo ripartire con un nuovo modello di “Bike
sharing avanzato.
L’idea che ci è venuta è quella del “bike box”, una sorta di
casotto, posto in luoghi strategici della città, nel quale siano custodite le
bici, al riparo da atti vandalici. Possiamo utilizzare la stessa metodologia
degli operatori più evoluti, rendendo disponibili le bici, grazie ad una card
ricaricabile, acquistabile presso i negozi, oppure la pratica dei
micropagamenti tramite app. L’accesso al
box è lo stesso di quello che si piò ottenere per accedere ad un bancomat
protetto. Potremmo collegare la card all’interno di circuiti di spesa in attività
commerciali locali, accumulando punti che darebbero diritto ad usufruire
gratuitamente della bici condivisa. Il bike sharing così organizzato potrebbe
essere completato con dei badge giornalieri per turisti, con facilitazioni per
gli stessi e sconti sugli ingressi a musei locali. Il bike box funzionerebbe
anche da centro ricarica per bici a pedalata assistita. E’ un modello culturale
difficile da cambiare perché rappresenta una presa di responsabilità di un bene
pubblico. Anche questo può servire per “cambiare passo”.
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