Un avido avvocato, nel pien della
tenzone politica, ha notato il donzelletto accompagnarsi con molti villici suoi
pari. Sotto i baffi già fa due conti su quanto il fanciullo conti tra il
contado, allora lo prende, lo fa consigliere comunale novello, lo educa alla
sodomia in pubblica piazza dei nemici, a l’intrufolarsi viscido nei meandri
degli uffici comunali, lo istruisce a l’uso degli asfalti elettorali a
orologeria stesi prima del voto. Dopo cotanta gavetta, il giovincello, ormai
rotto a qualsiasi rotta, si sveglia un bel giorno e anela allo scranno di primo
cittadino. Lo vuole, a qualsiasi costo. Ha deciso che passerà su tutti, come
uno schiacciasassi seduce uomini, donne, vecchi e bambini affinchè lo seguano
nell’avventura ma silente, ordisce trame con coloro ai quali deve eterna gratitudine
per tutti i favori ricevuti. Per lui non esistono né bianco né rosso né altresì
nero ma voti e preferenze da estorcere con le più bieche menzogne tanto c’è
tempo per provar vergogna. I suo piede diviene multiforme tanto che riesce a
trasformarsi in quadrupede, pentupede, esupede, etttupede ottupede, pur di tener
lo stival in più staffe.
Contro tutto e contro tutti vince e subitamente epura
color che gli sono stati più fedeli nelle avversità al fin di circondarsi di
una corte dei miracoli dove chi ha la lingua più lunga lecca di più. Arrivano i
manovratori ne l’ombra a chieder conto delle richieste di aiuto che un tempo
fece a loro tanto che si vede costretto a donare assessorati, uffici e cordone
della borsa ai più biechi figuri i quali accettano senza ringraziare, la fatica
che altri hanno fatto in buon fede, per arrivare alla vittoria chiedendo voti e
ponendo la propria faccia a garanzia. Il donzelletto ormai sindaco non
condivide, somministra. L’omniscienza è calata in lui come lo spirito santo nel
momento in cui ha indossato la fascia tricolore. La sua protervia si rivela sui
sottoposti e su tutti colori che cercano di redarguirlo in un moto di affetto
disinteressato. Egli ammette solo lodi, non critiche. La sua atavica ignoranza
di chi è cosciente di aver sempre schifato i libri, si rivela ne l’arroganza
dei gesti, nel confidar sulle persone sbagliate, che lo porteranno al fosso con
un applauso e una pacca sulla spalla. Egli diviene prigioniero e tuttavia nega
a se stesso la sua condizione di detenuto in ostaggio. Egli intuisce come si
possa pensar in grande ma si adira del fatto di non poter minimamente sfiorare
questa condizione. Inizia a riempirsi l’attaccapanni del suo ufficio e della
sua casa, di maschere che egli dovrà indossar al fin di apparire fulgido,
impenetrabile, inossidabile, inattaccabile, con qualche foto sui social, per un
fiore posto dentro un’aiuola abbandonata e l’inaugurazione di una sagra della
castagna in riva al mare. Di tutto ciò che vede non sa nulla ma si fa istruire
affinchè chi non lo conosca, legga nelle sue parole imparate a memoria sul
divano di casa, il fervido interesse per ogni cosa accada nel suo regno.
Egli ritorna al borgo natìo
ove cerca di fuggire talvolta, dai villici ai quali fece promesse, cercando
sangue fresco e nuovi polli per rimanere in sella alla prossima tornata
elettorale. Altri abboccheranno, molti andranno a questuare posti per altri
giovani simili a quello che lui fu quando ancora razzolava in ciabatte per l’aia
a toccare il culo delle galline.